Il problema della storicità di una vettura, o di una moto, è annoso quanto intricato: soprattutto perché, almeno nel nostro “Bel Paese” ne vanno di mezzo considerazioni di carattere economico e la credibilità di enti definiti “morali”.
Il discriminante temporale è, sicuramente, uno dei parametri che devono essere presi in considerazione: “ai posteri l’ardua sentenza” nel definire, culturalmente e tecnicamente, significativo un modello piuttosto che l’altro; ed in virtù di ciò, risulta preferibile attendere qualche anno in più piuttosto che accelerare i tempi.
A meno che ragioni contingenti e poco “morali” inducano ad ampi tesseramenti per certificazioni quanto meno “ante litteram”…
Tuttavia, i venticinque o trent’anni, non bastano – e lo sappiamo ormai bene – per conferire la patente di storicità ad un veicolo: ecco perché una ben nota rivista che qualcuno ha indicato come “caduta in disgrazia” sollecitò l’ente preposto per il settore auto ad integrare detto parametro con una lista di modelli col tempo suscettibile di modifiche ed ampliamenti.
Misteriosamente, l’invito cadde nel vuoto: non credo per la mancanza di autorevolezza e di competenza tecnica che tale organismo ha sempre dimostrato di avere. Piuttosto, c’è da chiedersi se tale decisione non sia stata ingenerata dal timore di scontentare, in qualche modo, il “mercato dell’auto storica” , ormai avviato a considerare oggetto di venerazione qualsiasi relitto con più di vent’anni (o quasi).
La soluzione nell’immediato, dunque, potrebbe configurarsi proprio nella redazione – da parte di un’equipe di storici e tecnici super partes ed altamente qualificati - di un elenco “aperto” di vetture ultratrentennali.
Per lo meno, ciò appare di evidente buon senso in qualsiasi altra nazione che ha conosciuto una forte industrializzazione automobilistica…
Nel lungo termine, invece, il discorso si fa un po’ più complesso e vale la pena prendere le mosse da una considerazione di fondo, che – in qualche modo – si allaccia a quanto ho espresso inizialmente: l’ardua sentenza è sempre a posteriori, ma i migliori esemplari dei modelli oggi tanto osannati (Giulia, Fulvia, 124 sport e, prima ancora, Flaminia, Aurelia, etc…) sono finiti nelle mani di intenditori culturalmente preparati e previdenti molti anni prima del riconoscimento coram populo della loro storicità…
Questo perché, all’epoca in cui quelle vetture furono prodotte, l’offerta non era spaventosamente ampia come oggi, la qualità del prodotto era facilmente discernibile, ma soprattutto, perchè l’evoluzione dei modelli che hanno caratterizzato la produzione delle case automobilistiche tra i ’50 ed i ’70 ha accompagnato di pari passo il progresso del nostro Paese, ne è stata parte artefice e parte conseguenza. Un periodo straordinariamente proficuo da un punto di vista dell’innovazione tecnica, che non si è più ripetuto e del quale sono figli tutti i valori che contraddistinguono il motorismo storico attuale.
Quello futuro è, oggi, ben difficile da prevedere: in una produzione ormai totalmente omologata agli standard fissati dal marketing, poco incline quest’ultimo ad azzardare nuove soluzioni tecniche, ed in un mercato stesso dell’auto pressoché saturo, vediamo pochi stimoli per la nascita di una nuova cultura del veicolo storico, che sia altrettanto ricca di passione.
Cordiali saluti.